lunedì 28 febbraio 2011

Gheddafi, un alpino morto e l'ipocrisia imperante.

L’Italia aveva un problema e due strade per risolverlo: la carota o il bastone. Migliaia di persone entravano illegalmente transitando dalla Libia. Con un tipo come Gheddafi non ci sono tanti discorsi da fare, o paghi oppure mandi le Forze Armate. Il Governo italiano ha scelto di pagare. Tutti quelli che si stracciano le vesti e vaneggiano di una politica estera che deve mettere al primo posto i diritti umani sono pronti a prendere il fucile e partire? Perché forse hanno dimenticato che il mondo è pieno di Gheddafi. Sono anni che in Darfur ci sono stupri e massacri, qualcuno di quelli criticano la politica estera italiana ha fatto qualcosa? Si è messo di guardia fuori dai villaggi per sparare ai carnefici mandati dal governo di Khartoum? Qualcuno si è mosso per difendere i monaci trucidati dai tiranni birmani? No, non si è mosso nessuno. Non dico che non bisogna tener presente i diritti umani in politica estera e avrei anche qualche idea in proposito sul come fare, ma se devi ottenere qualcosa da questi regimi o usi la forza o tratti. Raccogliere firme, mandare e-mail, mettere la faccina indignata su facebook serve a poco. Chavez quando è arrivato in Italia è stato accolto con gli applausi, eppure non è certo meglio di Mubarak. Saddam Hussein era molto peggio di Gheddafi eppure quando qualcuno si è preso la briga di mandarlo via a calci tutti gli amanti della Libertà e dei diritti dei popoli erano pronti a salvarlo. Idem per i Talebani. L’Italia sta già facendo la propria parte, egregiamente, in Afghanistan, dove la parte migliore del nostro paese è impegnata a tenere a bada i nemici dei diritti umani e lo sta facendo pagando con il sangue e la vita dei propri ragazzi.
Ricordiamo anche che noi italiani siamo meno dell’1% della popolazione mondiale, con un‘economia in difficoltà e poche risorse da spendere, quindi non possiamo fare “pressioni” economiche, sanzioni o cose simili proprio a nessuno. Posto che gli embarghi non hanno mai fatto cadere nessun dittatore, semmai li rafforzano, perché nella scarsità, chi controlla le poche risorse ha ancora più potere e influenza.
Invocare l’ONU poi è addirittura comico: proprio l’ONU che aveva messo la Libia alla presidenza della Commissione sui Diritti Umani! L’ONU serve solo a pagare lo stipendio a quelli che ci lavorano e i paesi democratici farebbero bene a uscirne.
Gheddafi è un dittatore. In Libia non c’è democrazia, né tantomeno libertà. Come in tutti gli altri paesi arabi. L’Italia non ha certo gestito in modo impeccabile il suo rapporto con Gheddafi, né questi giorni di proteste. Io sostengo che dobbiamo appoggiare coloro che chiedono libertà, in Libia come nel resto del mondo, ma sapendo che questo comporta un prezzo da pagare e che la battaglia è appena cominciata. Infatti le minacce più gravi alla libertà dell’Egitto, della Tunisia, della Libia e degli altri paesi sono ancora di là da venire, la storia dell’Iran ce lo insegna e vedremo allora se i difensori dei diritti umani saranno ancora in prima linea per proteggere dalla forca i manifestanti.

lunedì 7 febbraio 2011

Mercenari di Ippolito Edmondo Ferrario





Il libro parla delle storie dei mercenari italiani impegnati in Congo nei turbolenti anni successivi all’indipendenza del grande paese africano. Purtroppo il libro rappresenta un’occasione persa perché manca a mio avviso un filo conduttore che riassuma le storie in un quadro unitario. Ci sarebbe voluto un maggiore approfondimento degli eventi, come si sono svolti e come si sono intrecciati con le vicende personali dei protagonisti. Invece alcune ripetizioni e una certa sbrigatività lasciano la voglia insoddisfatta di saperne di più. Sicuramente i libri non si valutano a peso, ma 160 pagine non bastano a dare completezza agli argomenti messi sul tappeto dall’autore: la vicenda storica, le biografie degli intervistati, i personaggi dell’epoca e lo spirito di quei mercenari europei, avrebbero richiesto più spazio e più ricerche. Comunque il libro riesce ad essere avvincente e getta una luce su avvenimenti e sentimenti esclusi dal mainstream giornalistico, cinematografico e televisivo. La parola mercenario porta alla mente un individuo che agisce solo per soldi, che non è inquadrato in truppe regolari e quindi non rispetta alcuna regola nel fare la guerra, un’ultima spiaggia per individui poco raccomandabili, per la feccia insomma. Sulle motivazioni che hanno spinto queste persone a lasciarsi alle spalle una vita tranquilla, forse troppo tranquilla e ad infilarsi in uno dei posti più pericolosi e problematici del mondo, l’autore ci fornisce invece indicazioni che vanno in altre direzioni. Per molti la spinta decisiva è stata la sorte dei caschi blu italiani trucidati e mangiati dalle milizie congolesi, ma si intravede oltre a questo una predisposizione d’animo preesistente, qualcosa che ha a che fare con il cameratismo, le emozioni forti e il non accettare passivamente l’esistente. Sarebbe interessante un secondo volume per un confronto con le esperienze degli italiani arruolatisi volontari nelle guerre jugoslave degli anni novanta e con i contractor della guerra irachena. Dai colloqui dell’autore, il fenomeno si inquadra come una rivolta, l’unica via rimasta per opporsi al corso dei tempi: all’epoca c’era la decolonizzazione, il blocco comunista in espansione e una generale considerazione dell’Europa come di un continente finito e umiliato. Non so se allora i mercenari potessero avere realmente un margine di manovra, uno spazio per idee proprie o probabilmente essere solo un utile strumento nelle mani delle strategie degli Stati. Certo, dal libro, la figura del volontario risulta abbastanza idealizzata e non tutti avranno seguito il codice etico dell’onore indicato da uno dei protagonisti: “se sei una persona onesta che non ruba e che mantiene la parola data, è indifferente che tu sia un panettiere o un mercenario. Il tuo lavoro lo fai bene, con la coscienza a posto. Se sei un pezzo di merda, qualsiasi cosa tu faccia, tale rimarrai”, però aiuta a rimuovere un po’ di pregiudizi, che, come sempre, non aiutano a capire.

giovedì 3 febbraio 2011

Corriere della Sera e indottrinare il popolo

Andare a spulciare gli altri quotidiani è come sparare sulla Croce Rossa ma il Corriere della Sera è considerato il quotidiano più autorevole e più moderato. Probabilmente lo è, infatti è questo il motivo per cui sconforta leggere certi articoli. Titolo: “Barometro della democrazia. Tra i Paesi più evoluti, l'Italia arranca” e fin qui nulla da dire sono il primo a denunciare le imperfezioni della nostra democrazia. Vediamo di cosa di tratta: un indice, elaborato dall’Università di Zurigo e dal “Social Science Research Center” di Berlino, cerca di classificare lo stato di salute delle trenta democrazie più consolidate del mondo. Per la cronaca l’Italia risulta ventiduesima (davanti a Regno Unito e Francia, insomma pensavamo peggio). Ecco il primo commento del Corriere: “Il risultato poco esaltante del Belpaese - dichiara lo studio - è determinato dalla limitata libertà di stampa che ostacola il processo democratico. Nell'Italia di Silvio Berlusconi - continua la ricerca - il declino è evidente.” . Notare che la ricerca considera il decennio dal 1995 al 2005, ma soprattutto che il responsabile della ricerca intervistato da der Spiegel dice testualmente: “(the survey) is designed to go deeper than whether a country holds free and fair elections, but not to go deep into individual governmental policies." Quindi ricapitolando: il giornalista del Corriere non si sente offeso dal fatto di essere considerato “non libero” ed è pronto ad accusare Berlusconi (anche di questo… non c’è già abbastanza carne al fuoco?) nonostante il fatto che gli autori stessi della ricerca dicano che non hanno considerato le politiche governative! Ma questo è il meno, subito dopo commentando il fatto che il Belgio risulta terzo in Europa, il giornalista aggiunge: “Probabilmente se lo studio analizzasse l'anno in corso, difficilmente Bruxelles, che da oltre sette mesi è senza governo, riuscirebbe a ottenere una posizione così prestigiosa.” Non lo sfiora l’idea che una democrazia può tranquillamente vivere anche senza Governo in carica, che un Paese è fatto dai milioni di persone che si alzano, lavorano e che un paese è fortunato quando i Governi si limitano a non fare danni ed a spolpare il meno possibile i contribuenti. Se i nostri politici fossero stati a casa (pagati si intende) per sette mesi ogni legislatura, saremmo tutti più ricchi.
Il giornalista riporta invece senza aver nulla da eccepire alcuni criteri usati per elaborare l’indice, sentite qua sull’Inghilterra: “l'Inghilterra, sebbene sia considerata la madre di tutti i parlamenti, è penalizzata da un sistema elettorale che potrebbe alterare il responso della volontà popolare” cioè in pratica a questi studiosi non piace il collegio maggioritario uninominale e allora gli affibbiano un brutto voto. Ancora sull’Inghilterra penalizzata da “da un sistema dei media troppo legato agli interessi privati”! Urca, ma come hanno fatto a dimostrare che negli altri paesi i media sono slegati da ogni interesse privato?
Bella anche questa: “La Francia invece è in fondo alla classifica per il numero limitato di partiti politici presenti in Parlamento” quindi l’equazione è: più partiti = più democrazia, allora l’Italia può rimontare quando vuole, i partiti in Parlamento aumentano da un giorno all’altro!
Il bello è che non intendo contestare i risultati dello studio. I paesi del nord Europa primeggiano. Non dico di no, anche se con qualche riserva sui reati di opinione e sul controllo ossessivo che su alcuni aspetti tendono ad avere sull’organizzazione della vita dei propri cittadini. Non contesto nemmeno il fatto che l’informazione italiano non è abbastanza libera, infatti idee come quelle che leggete nel mio blog, non le trovate sui giornali! E’ che si cerca sempre di inculcare nella mente dei lettori un unico modello di democrazia, fatto di più Stato, più politicamente corretto, più pensiero unico, mentre la democrazia si nutre anche e soprattutto di pluralità di pensiero.