venerdì 28 ottobre 2011

Otel Bruni di Valerio Massimo Manfredi

In un commento al post dedicato a Valerio Massimo Manfredi mi era stato consigliato Otel Bruni e in questo inizio autunno ho dato retta al consiglio, devo dire che è stato un buon consiglio. Trovo che sia un romanzo diverso dagli altri scritti da Manfredi, non soltanto per l’ambientazione contemporanea, ma soprattutto per le atmosfere. L’autore in effetti, pur essendo famoso per i romanzi storici, spesso intreccia trame tra passato e presente, come ad esempio ne “Il faraone delle sabbie”, però non è quello che lo caratterizza e l’ho sempre trovato più coinvolgente e interessante quando l’azione si sposta nell’antichità. Invece in Otel Bruni dimostra uno stile che ho apprezzato molto e che risulta particolarmente azzeccato nel contesto delle vicende narrate. E’ la storia di una famiglia contadina emiliana durante la prima metà del secolo appena finito, le vicende dei vari componenti procedono parallelamente, intrecciando vita comune con i grandi sconvolgimenti del periodo. Infatti gli eventi drammatici dell’epoca toccano da vicino i la famiglia. L’autore mi è sembrato estremamente attento a misurare le parole, quasi a pesarle una per una, per rendere con chiarezza il proprio pensiero sui temi delicati che di volta in volta si affacciano nella trama: guerra, fascismo, resistenza. Da quello che capisco i personaggi del romanzo sono realmente esistiti, a partire dal capostipite, che dovrebbe essere il bisnonno dell’autore e anche questo deve aver contribuito a quel tocco di delicatezza in più presente in questo libro, rispetto agli altri dove i sentimenti e le emozioni dominanti sono altri.

domenica 16 ottobre 2011

Indignati sì, illusi no, attenti il Governo vi darà quello che cercate.

La crisi non la paghiamo noi! Questa è l’idea che esprime la posizione degli indignati nei confronti di varie istituzioni, sistema finanziario, politica. Bisognerebbe spiegare chi deve pagarla e come. Purtroppo non c’è modo di evitare che questa crisi coinvolga tutti: è come avere un braccio incastrato in un enorme ingranaggio, se non fai niente muori dissanguato, puoi smontare il macchinario e tenerti il braccio maciullato, oppure puoi amputare, ma NON C’È UN MODO INDOLORE DI USCIRE DALLA SITUAZIONE. Anch’io sono indignato per il fatto di trovarmi una montagna di debito sulla testa che non ho contribuito a creare, ma non sono così stupido da pensare che ci sia un modo di non subire le conseguenze di questa situazione. Vogliono il default? Lo vogliono selettivo? Cioè, magari evitiamo di rimborsare i sottoscrittori stranieri e i ricchi italiani… uhm e secondo voi all’asta successiva si riesce tranquillamente a rinnovare lo stock in scadenza? I piccoli risparmiatori accorreranno, come se niente fosse, per accaparrarsi i titoli di nuova emissione? Ma NEMMENO NEL MONDO DEI PUFFI SI CREDEREBBE A UNA TALE INFANTILE ILLUSIONE. Intendiamoci questo è uno dei modi per uscirne, ma l’effetto a cascata toccherà tutti. Da un certo punto di vista ha un senso, soprattutto per quelli della mia generazione, in fondo NOI ORMAI SIAMO STATI FREGATI: dal lavoro senza mercato, dallo stato asociale, dai sindacati dei non lavoratori, dai pensionati bebè, da quelli che in passato hanno ricevuto redditi che non hanno prodotto, quindi prendiamo tutte le mazzate restanti in una volta sola e i nostri figli potrebbero vivere in un’Italia migliore. Non noi, però.
La crisi finanziaria globale è il conto da pagare per decenni di politiche monetarie e fiscali sbagliate. C’è di buono che si sta facendo strada un po’ ovunque la consapevolezza che anche gli Stati devono seguire le regole del buon padre di famiglia: spendo quello che ho. Ma i debiti accumulati pesano come un macigno e prima che le cose possano andare meglio, i debiti dovranno essere ancora “digeriti”, quindi il mal di stomaco proseguirà ancora parecchio. Default o non default. Non ci sono invece segnali di ripensamento circa il sistema monetario e finanziario e questo porterà facilmente a nuove bolle e nuovi squilibri.
Ma veniamo a noi: il Parlamento italiano si è convertito al rigore di bilancio puntando decisamente al pareggio, peccato che il modo scelto sia decisamente controproducente. Purtroppo TREMONTI RITIENE CHE IN ECONOMIA DUE PIÙ DUE FACCIA QUATTRO, ma l’economia non è ragioneria, né tantomeno matematica. Tremonti pensa che sia sufficiente alzare un’aliquota per aumentare proporzionalmente il gettito e tappare il buco di bilancio, cioè ad esempio se con l’IVA al 20% ricavo 200 miliardi la alzo al 21% e ricavo 210 miliardi, ma la realtà non funziona così.
Ad ogni azione c’è una reazione, aumentare l’imposizione fiscale scoraggia gli investimenti, diminuisce il potere di acquisto, in definitiva è un ostacolo alla creazione di ricchezza.
Ispiriamoci alla metafora di un grande politico: il cavallo robusto che tira un carro pesante; il cavallo trasporta 10 tonnellate in 20 viaggi, il padrone ne vuole di più e ad ogni viaggio gli carica altri 100 kilogrammi, se il cavallo è già al limite delle sue capacità, rallenterà il passo, farà meno viaggi, il padrone non conseguirà il risultato che sperava. Insomma con una pressione fiscale vicina al 50% l’Italia non può che trascinarsi stancamente in un declino che non farà aumentare il gettito e renderà il pareggio di bilancio una chimera irraggiungibile. Anche perché si tratta di ulteriori risorse drenate dal sistema produttivo e messe in una macchina, lo Stato, che produce molto meno o in molti casi nulla. Qualche attività in difficoltà chiuderà, chi potrà andrà all’estero ed ognuno di questi fenomeni ha un effetto a cascata, perché riduce i consumi e quindi i ricavi di altre imprese.
Tremonti fa lo stesso errore di quei giornalisti che si improvvisano economisti e cavano dal cilindro le proprie soluzioni alla crisi: “DOVE SONO FINITI I SOLDI? Se qualcuno li ha spesi qualcun altro li ha incassati, se c’è un debito c’è un credito e così via….” Non sanno che esistono gli investimenti sbagliati, che non producono ricchezza, la carta che gira chiamata soldi è sempre quella, ma quello che ci si scambia è meno, siamo più poveri. A meno che questi giornalisti, indignati e compagnia bella non pensino che al posto del pane si può mangiare la carta (o le brioches…). Insomma gli indignati chiedono il default e grazie al Governo forse ci arriveremo, con il prossimo idem (solo più velocemente), chissà se ci avevano pensato?