sabato 21 maggio 2011

Ho assaggiato la mia prima birra

Ho assaggiato la mia prima birra, mia nel senso fatta da me, perché fatte da altri ne ho assaggiate tante!
Conoscendo la mia passione per la birra, mio cognato ha voluto che mi mettessi alla prova e mi ha regalato un kit per la produzione della birra fatta in casa.
Per questo esordio ho scelto di produrre una weizen, perché conoscendo bene questo stile avrei potuto meglio capire la distanza che separa un buon risultato dal mio prodotto.
Sono partito da una confezione di malto (orzo + frumento) già bollito e luppolato; la confezione è una grossa latta (tipo pelati), il contenuto all’interno è una specie di melassa. Invece del lievito base ho usato del lievito Weihenstephan (quello della birra omonima, per la cronaca, in assoluto la mia preferita) ed al posto dello zucchero, un estratto secco di malto.
Insomma i presupposti erano buoni, il risultato finale abbastanza modesto. Il sapore non è malvagio, ma sicuramente è un po’ troppo acidulo per i miei gusti, infatti prediligo le weizen nelle quali questo elemento non è preponderante. Avendo letto che uno dei problemi degli homebrewers sono le bollicine e la schiuma ho probabilmente ecceduto un po’ con lo zucchero aggiunto della fase di imbottigliamento e la schiuma è troppa anche per una weizen. Del resto non volevo rischiare, avessi fatto una ale inglese ok, ma una weizen senza schiuma no!
Una parte della birra l’ho lasciata qualche giorno in più nel fermentatore, prima di imbottigliarla, per verificare le differenze che si vengono a creare, in effetti avrei dovuto fare un travaso, però non ho il fermentatore di riserva. L’esperimento mi suggerisce di non aspettare troppo dopo che la fermentazione è finita, infatti questa birra imbottigliata dopo ricorda vagamente il prosecco… chissà, forse assomiglia ad una lambic, ma vado ad immaginazione perché non ho mai avuto occasione di assaggiare le belghe a fermentazione spontanea.
Comunque ci riproverò, l’obiettivo è fare una buona birra, migliore di quelle industriali, senza la pretesa di raggiungere il livello delle birre di qualità, ma personalizzandola sui miei gusti. Vedremo mi sa che la strada è lunga.

lunedì 2 maggio 2011

L'eredità di Bin Laden

Bin Laden è morto. Eticamente non si festeggi una morte, nemmeno se strameritata, però io ho provato gioia e soprattutto sollievo. Non perché questa morte risolva i nostri problemi con il terrorismo, ma perché fino ad oggi era come se il trauma dell’11 settembre non si potesse chiudere, fino a quando Bin Laden era l’imprendibile “Primula Rossa” del terrore, era come se quella nube di polvere delle Torri Gemelle aleggiasse sempre su di noi. Finalmente un capitolo si è chiuso, dopo dieci anni, la polvere si è posata.
La guerra continua, i Talebani continueranno a combattere, ci saranno nuovi attentati ovunque nel mondo, continueranno i conflitti in Nigeria, lungo la frontiera Indo-Pakistana, in Thailandia, nelle Filippine e lungo tutti gli altri confini dell’Islam ed anche al suo interno. Ma è una nuova Storia.
Sappiamo però che gli Americani non sono più quelli che scappavano con gli elicotteri dai tetti di Saigon, ma tengono duro per anni se necessario, una bella lezione da non dimenticare: per prevalere bisogna perseverare, la nostra mancanza di determinazione è la speranza del nemico. Conviene ricordare che le prime grandi stragi qaediste risalgono al 1998 in Kenia e Tanzania, ma allora gli USA non reagirono e l’attacco arrivò fin dentro l’America.
Certo ci sono molti interrogativi che non avranno una risposta definitiva: perché eliminarlo ora, se è vero che erano sulle sue tracce da alcuni mesi? Sicuramente poteva essere proficuo tenerlo sotto controllo ancora un po’, spero non sia stata una decisione affrettata per ragioni politiche, magari per avere ora la scusa per ritirarsi prematuramente dall’Afghanistan.
Certamente Osama Bin Laden aveva protezioni altolocate in Pakistan, dove molti, nel popolo ma soprattutto nelle istituzioni, preferirebbero rimettere i Talebani al potere; difficile però dire se fosse un ospite, un ostaggio, una pedina di scambio o un alleato dei servizi segreti pakistani.
Quel che è certo è che dietro le icone mediatiche del terrorismo altri agiscono più discretamente ma concretamente per ampliare la sfera d’influenza dell’estremismo, si servono dei martiri, ma anche dei media, delle scuole coraniche, si infiltrano nelle istituzioni, anche dei paesi alleati dell’Occidente e, come con il fu Bin Laden “trattare con loro è impossibile. Ragionarci, impensabile. Trattarli con indulgenza o tolleranza o speranza, un suicidio. E chi crede il contrario è un illuso.”