mercoledì 15 settembre 2010

15 settembre. 60 anni fa la Battaglia di Incheon.

Oggi è il sessantesimo anniversario della battaglia più famosa della Guerra di Corea: la Battaglia di Incheon o, per dirla con il suo nome in codice l’Operazione Chromite.

La situazione sul campo vedeva le forze comuniste del nord occupare quasi tutta la penisola coreana, dopo l’invasione iniziata il 25 giugno, con l’eccezione di una piccola area nel sud est del paese, intorno a Busan, dove erano attestate le forze americane. In questo contesto il generale Douglas MacArthur, comandante supremo delle forze ONU incaricate di respingere le forze nordcoreane, concepì l’idea di sbarcare presso Incheon, prendere il porto e utilizzarlo come testa di ponte per un’armata che tagliasse in due le forze nemiche.




L’idea era decisamente audace, per non dire avventata, e come tale avversata dagli alti comandi delle forze USA. I motivi per considerare uno sbarco a Incheon un azzardo erano molti: il porto era fortificato, l’accesso obbligato è attraverso un piccolo canale (Flying Fish Channel) facilmente difendibile, il rifluire della marea impedisce l’accesso alle navi durante buona parte del giorno,




la presenza di alte dighe foranee, senza considerare che la zona si trova dalla parte opposta a Busan, inoltre in quei primi giorni di settembre due tifoni avevano rallentato significativamente le operazioni navali tra Giappone e Corea. Insomma difese naturali ed artificiali facevano considerare la zona imprendibile, così la pensavano anche i Nordcoreani e quindi la sorpresa ebbe successo.

I fatti: all’alba del 15 settembre i marines al comando di Arthur Dewey Struble sbarcano sulla “Green Beach” nel nord dell’isoletta di Wolmi-Do e riescono a sopraffare le forze presenti che non si aspettavano un attacco in forze. I marines si mettono in posizione difensiva perché devono resistere 12 ore prima che l’alta marea consenta lo sbarco dei rinforzi.
L’operazione viene portata avanti con due altri sbarchi nelle spiagge denominate “Blue Beach” e “Red Beach”.






Quel primo giorno 13.000 uomini presero possesso della zona ed insieme a quelli che li seguiranno riusciranno a tagliare le linee di comunicazione del nemico ed a riprendere la vicina Seul occupata dai comunisti. Parte delle forze che assediavano Busan furono costrette ad intervenire alleggerendo la pressione sulle truppe ONU che poterono così cominciare a riconquistare territorio marciando verso nord.

Come giudicare l’operazione? E’ stata solo la fortuna ad aiutare MacArthur ed è stato solo il suo ego smisurato a voler andare contro un prudente buonsenso?
Non si può dare una risposta definitiva, certo è che, pur se rischiosa, l’operazione aveva una sua razionalità: gli stessi uomini e mezzi impiegati all’interno del perimetro circondato di Busan non avrebbero avuto lo stesso impatto sul nemico, l’inverno era vicino e per ribaltare la situazione in poco tempo bisognava guadagnare terreno e spiazzare le forze nemiche, cosa che solo uno sbarco in profondità alle spalle poteva conseguire. Probabilmente il generale cercava anche un colpo ad effetto per risollevare il morale delle forze anticomuniste che non poteva essere più depresso.

Il giorno dopo, in una comunicazione al presidente Truman, il generale Frank Lowe, consulente militare alla presidenza scrive “Sono stato testimone di un miracolo, niente di meno”… tanto per capire lo stato d’animo in quelle ore.

Dobbiamo considerare che l’operazione è stata messa in piedi in poche settimane, senza satelliti, raccogliendo forze eterogenee, alcune dalla sacca di Busan, altre fatte arrivare dal Giappone, da questo punto di vista quindi la fama mi sembra giustificata.

Dopo la Battaglia di Incheon la guerra è durata altri tre anni, fino al cessate il fuoco provvisorio che dura tutt’oggi. Il paese diviso ha conosciuto due destini completamente diversi, in un equilibrio che risulta difficile da spezzare: la presenza del regime al nord giustifica la presenza di un’imponente forza americana nell’Asia nord orientale, obbliga Corea del Sud e Giappone ad una vicinanza non conflittuale; dal canto suo la Cina preferisce avere un confinante dove ha voce in capitolo, piuttosto che una Corea riunificata alleata agli Stati Uniti. La Corea del Sud non vuole la guerra, è un paese ricco che avrebbe molto da perdere, inoltre Seul è abbastanza vicina al confine da essere sotto il tiro dei nordcoreani; nelle poche settimane necessarie ad abbattere il regime del nord, quest’ultimo potrebbe fare abbastanza danni da scoraggiare il tentativo. Insomma la Corea del Nord sa che gli è sufficiente non tirare troppo la corda per sopravvivere ancora, salvo lotte intestine di successione o una carestia così grave da non poter essere superata nemmeno con l’aiuto dei “nemici”.
Ma di queste cose possiamo occuparci altri giorni, oggi limitiamoci a ricordare quelli che sulle coste di Incheon hanno lasciato la vita.