mercoledì 30 gennaio 2008

Riflessioni sull'aborto

La moratoria sull’aborto rischia di avere gli stessi effetti di quella sulla pena di morte: cioè nulli.
La proposta da Giuliano Ferrara ha raggiunto il suo obiettivo primario, che è quello di discutere del problema aborto, sia in ambito italiano, sia ambito internazionale ponendo la questione dell’aborto selettivo praticato in Asia. La discussione però scivola facilmente su questioni di principio e non entra nel concreto di ciò che è fattibile o su che cosa si può raggiungere un consenso sufficientemente ampio.

Personalmente ritengo che almeno un paio di aspetti della legge vigente dovrebbero essere modificati.
Il primo è quello concernente la figura del padre: nelle coppie dove il padre è disposto ad assumersi la propria responsabilità di genitore, il ricorso all’aborto non dovrebbe essere consentito.
Il secondo aspetto è quello che riguarda le settimane: non ho le conoscenze mediche per esprimermi, ma nel caso in cui il feto sia abbastanza avanti da poter sopravvivere, il feto non deve essere soppresso.
Per il resto sono contrario a reintrodurre l’aborto come pratica illegale.

Credo anche che una revisione della 194, soprattutto alla luce delle recenti sentenze del Tar, debba comportare un ripensamento della legge 40 sulla fecondazione assistita, per orientare tutta la legislazione verso un approccio più favorevole alla vita.
Su alcuni aspetti la legge non tiene in debito conto né la salute del bambino, né le legittime aspirazioni alla maternità e paternità delle coppie. Non penso che avere un figlio sia un diritto, né che per forza sia tutto concesso per raggiungere lo scopo, ma neanche si può considerare un capriccio quello che è invece un’aspirazione connaturata all’istinto della maggior parte delle coppie.
Quindi credo che le tecniche esistenti dovrebbero essere accessibili e che non sia giusto negare le diagnosi prenatali.
Personalmente sono anche favorevole alla fecondazione eterologa, ma mi rendo conto che probabilmente si tratta di una posizione minoritaria, non spendibile per cercare un compromesso generale tra le forze politiche su questi temi.

Pena di morte, aborto, diagnosi prenatale, obbligo di impianto, pillola del giorno dopo, fecondazione eterologa. Sono temi sui quali le sfumature personali sono molto differenti e probabilmente variano anche nel tempo. Non sto a fare il calcolo combinatorio ma se cercassimo di fare dei gruppi omogenei verrebbero fuori decine di posizioni diverse. Per questo trovare un punto di sintesi che abbia un’ampia convergenza è molto difficile.
Trovo positivo comunque che il dibattito sia aperto e io ho detto la mia.
Ah dimenticavo, ci sono crimini per i quali non ritengo affatto la pena di morte eccessiva. Ma questa è un’altra storia.

mercoledì 23 gennaio 2008

I guerrieri lupo nell'Europa arcaica


“I guerrieri-lupo nell’Europa arcaica” di Christian Sighinolfi è un breve saggio in cui l’autore ci trascina in un vortice di citazioni, tra passi di poemi epici, fatti storici, leggende, miti, tutto intorno al tema del rapporto tra l’uomo e la sua parte selvaggia, il guerriero che cerca la forza dell’animale, forza utile in battaglia ma che può diventare socialmente pericolosa. L’uomo ed il lupo, l’uomo e l’orso, la forza che scivola facilmente nella ferocia, nel furore e nella pazzia.

Come dice il sottotitolo: “Aspetti della funzione guerriera e metamorfosi rituali presso gli Indoeuropei”, il libro analizza ed accosta le varie tradizioni dei popoli indoeuropei per coglierne i tratti simili, cercando quindi di intravedere quelle pratiche più antiche, sviluppate prima che i comuni antenati di Germani, Celti, Greci, Italici si dividessero in tutti questi popoli.
Interessante a questo proposito la ricorrenza del numero 9 come periodo di passaggio, iniziazione o espiazione; 9 giorni resta appeso ad un albero, con il costato ferito da una lancia, il dio Odino, per poi rinascere a nuova vita; nella Saga dei Volsunghi si narra la storia di Sigmundr e Sinfjotli che, indossate delle pelli di lupo, dovettero vagare per nove giorni ululando ed uccidendo, per riacquistare solo il decimo giorno il proprio aspetto e comportamento umano; Plinio il Vecchio racconta la storia di Demeneto di Parrasia che avendo mangiato carne umana durante un sacrificio a Zeus, si trasforma per nove anni in lupo e riprende le proprie sembianze il decimo anno. La magia legata al numero 9 è dovuta al fatto che è il prodotto dei 3 tempi, passato, presente e futuro con i 3 universi, inferi, terra e cielo.

Passando dalla Scandinavia ai Celti, incontriamo i berserkir, gli ulfheonar, i fianna, si passa poi a Roma con la confraternita dei lupercali, del resto la città stessa è fondata da un uomo allevato da una lupa, fino ai lykanthropos greci, il libro scorre velocissimo e lascia la voglia di approfondire tutta la massa di spunti interessanti che l’autore propone.
Unico appunto: non è spiegato chiaramente il riferimento ai Daci ed alla loro collocazione in Asia Minore. Per il resto un plauso a Christian Sighinolfi ed un invito a scrivere ancora, magari raccontandoci in maniera più approfondita qualcuno dei temi affrontati.

martedì 22 gennaio 2008

Non tutte le recessioni vengono per nuocere

La parola recessione intimorisce, si evita di pronunciarla come un tabù, la si nega pervicacemente fino a quando è possibile, è lo spauracchio che agita i sonni dei politici, degli economisti e delle persone comuni.
In parte tutto ciò è giustificato: meno prodotto, meno reddito, meno consumi, meno investimenti, meno reddito… disoccupazione, utili in discesa e borse in caduta libera come ieri…. Insomma un circolo vizioso che spaventa, soprattutto per il timore che la recessione diventi depressione.
Però c’è qualcosa di schizofrenico e di sbagliato in tutto ciò.
La recessione di cui si parla oggi deriva da alcuni squilibri generati dalla grande crescita economica mondiale di questi anni. Da noi in Italia c’è stato solo un pallido riflesso di questa crescita, ma nel resto del mondo c’è stata ed è stata robusta.
Il primo squilibrio generato da questa crescita è l’impennata dei prezzi delle materie prime: il petrolio, l’uranio, l’acciaio, il rame, il piombo e così via hanno visto salire le proprie quotazioni in modo vertiginoso e questo già di per sé ha un effetto recessivo, perché è evidente che a parità di reddito restano meno soldi per acquistare altre cose. C’è poi il grande disavanzo commerciale statunitense, particolarmente pesante verso i paesi asiatici, Cina in testa. La recessione, se ci sarà, darà una aggiustata, perlomeno temporanea a questi due squilibri.
C’è poi il problema delle sofferenze bancarie dovute alle insolvenze legate ai mutui, riguardo a questo problema c’è molta incertezza perché non si conosce l’entità delle perdite, ma fino ad oggi le autorità monetarie hanno pilotato la crisi con molta solerzia, pompando liquidità (forse anche troppa?) tutte le volte che era necessario; è chiaro che se la situazione fosse più grave di quanto appare, le banche più esposte dovranno saltare e si provvederà al salvataggio di quelle messe meno peggio.
La cosa più importante che non viene detta è che le recessioni sono il momento in cui i sistemi economici più competitivi e dinamici ricostituiscono le condizioni per riprendere una crescita solida e duratura.
In un certo senso è il momento della selezione, dell’evoluzione del sistema.
Se un sistema funziona a dovere, durante la recessione le imprese che non fanno utili chiudono o sono assorbite da quelle più efficienti. Anche i lavoratori migrano verso le aziende più produttive, così i capitali, in questo modo, una volta esaurita la pulizia del sistema, l’economia può ripartire.
Molti capitali investiti nei primi anni del secolo in aziende legate ad internet non hanno prodotto utili e ciò ha provocato un rallentamento dell’economia, perché non c’è nulla di peggio che un capitale investito male per deprimere la crescita.
Questo dovrebbero avere in mente coloro hanno in mano le leve dell’economia: spremere le aziende produttive e cercare invece di tenere in piedi attraverso sussidi o quant’altro aziende che non possono funzionare è un modo per costruire la povertà del futuro.

lunedì 21 gennaio 2008

Escursione alla Cascata della Ravezza

















Partenza dal Lago delle Lame.
Veramente volevo andare sul Monte Aiona, ma il sentiero era ghiacciato e non riuscivo letteralmente a stare in piedi.
A questo punto analizzando il cartello ho optato per una più agevole camminata verso la Cascata della Ravezza.

venerdì 18 gennaio 2008

Se io non fossi io

A volte capita mi capita di pensare: se io non fossi io, chi vorrei essere, ecco a me piacerebbe essere essere Massimo, l'Ispanico, il Gladiatore.

Penso anche che si discute tanto di riforme, riforme elettorali, riforme costituzionali.... ma poi in fondo basterebbe riformare le persone, perchè con uomini, uomini veri, vanno bene tutti i sistemi, mentre con una massa di lacchè, drogati, avidi succhiasoldi si va poco lontano.

mercoledì 16 gennaio 2008

10 motivi per tagliare le tasse ai ricchi

Si parla di abbassare le tasse per i bassi redditi: ok sono d’accordo, però di seguito elenco 10 buoni motivi per tagliare le tasse anche ai redditi alti:


1 – La redistribuzione tramite alte aliquote progressive è stata praticata in questi ultimi decenni con risultati scarsi. Questa è già una buona ragione di per sé per provare una strada diversa. Se il taglio delle aliquote producesse danni si può sempre tornare ad alzarle. Peraltro il gettito complessivo derivante dai redditi maggiori di centomila euro l’anno è infimo, infatti meno dell’1% dei contribuenti dichiara tale reddito.

2 – L’idea di tassare i super-ricchi con aliquote punitive è infantile. Chi dispone di certe cifre ha la possibilità di trasferire la propria residenza fiscale all’estero.

3 – Nei paesi dove le aliquote sono state tagliate aggressivamente il gettito è aumentato, a seguito sia di una maggiore crescita economica, sia di un allargamento della base imponibile, consentendo quindi di avere maggiori risorse per le politiche sociali; abbassare le tasse ai ricchi è un modo di aiutare i poveri

4 – Meno tempo dedicato all’elusione fiscale, più tempo dedicato a lavorare.

5 – Incentivo a guadagnare di più ed ampliare l’attività.

6 – La nostra società è formata dalla massa di cittadini della classe media. Siamo noi che dobbiamo sentirci una comunità coesa, farci carico dei problemi, prendendoci la responsabilità di andare avanti. L’idea di risolvere le cose con i soldi dei ricchi è un modo per deresponsabilizzare la gente ed inculcare che spetta agli altri risolvere i problemi.

7 – L’Italia ha bisogno di attirare capitali ed occupazione di qualità. Si dice sempre che non possiamo fare concorrenza nel mercato internazionale basandoci sul basso costo della manodopera. Dobbiamo cercare di diventare sede di centri direzionali, creare occupazione per alti profili professionali: ma come si può farlo se queste figure vengono ipertassate?

8 – E’ un premio per coloro che con alti livelli di reddito hanno sempre pagato quanto dovuto. Si fa tanta demagogia contro gli evasori: abbassare le aliquote li rende meno competitivi rispetto a chi paga.

9 – E’ un incentivo alla mobilità sociale: come si può diventare ricchi grazie al proprio lavoro se metà del reddito se va in tasse? Alte aliquote significano che solo chi nasce ricco può essere ricco, perché evidentemente i patrimoni sono tassati una frazione rispetto ai redditi.

10 – Evadere diventa più rischioso, la lotta all’evasione fiscale diventa più efficace, è ragionevole prevedere pene più severe, fino all’arresto ed alla detenzione. E’ chiaro che bisogna anche prevedere nuovi metodi per riscuotere l’evasione accertata, perché ad oggi solo una frazione di quello accertato viene poi effettivamente incassato dallo Stato.

(PS. Resta comunque prioritario per il paese tagliare le tasse alle imprese. Ed ovviamente anche tagliare gli aiuti ed i sussidi alle imprese)

giovedì 10 gennaio 2008

Se al CNR non danno i numeri....

Un ricercatore del CNR, Paolo Plescia, ha messo a punto un impianto nel quale vengono introdotti rifiuti urbani indistinti e ne escono, vetro, metalli e combustibile.
Questo impianto è stato chiamato THOR, acronimo di “Total house waste recycling”.
Il sistema funziona come un colossale mulino tritatutto ad altissima pressione. I numeri dati dal CNR sono notevoli: “Un’area urbana di 5000 abitanti produce circa 50 tonnellate al giorno di rifiuti solidi”, informa il ricercatore. “Con queste Thor permette di ricavare una media giornaliera di 30 tonnellate di combustibile, 3 tonnellate di vetro, 2 tonnellate tra metalli ferrosi e non ferrosi e 1 tonnellata di inerti”

…”l’impianto Thor riduce i rifiuti a dimensioni microscopiche, inferiori a dieci millesimi di millimetro. Il risultato dell’intero processo è una materia omogenea, purificata dalle parti dannose”…

La ricerca sembra seria anche perché vengono date delle cifre relative ai costi economici:
“Un impianto di meccano-raffinazione di taglia medio-piccola da 20mila tonnellate di rifiuti l’anno presenta costi di circa 40 euro per tonnellata di materiale", spiega Paolo Plescia. "Per una identica quantità, una discarica ne richiederebbe almeno 100 e un inceneritore 250 euro.”
“un impianto da 4 tonnellate/ora occupa un massimo di 300 metri quadrati e ha un costo medio di 2 milioni di euro”

Facendo il classico conto della serva, consideriamo che in Italia si producono 100 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno, se la metà venissero processate dal Thor, avremmo 30 milioni di tonnellate di combustibile, non è dichiarato esplicitamente il potere calorico, anche se si accenna al fatto che è paragonabile a quello del carbone. Tenendoci più bassi e considerando un potere pari al 50% di quello del petrolio abbiamo infine 15 milioni di TEP. La quantità è veramente considerevole, se pensiamo che le importazioni annuali di petrolio sono circa 110 milioni di tonnellate. Il problema è che non sappiamo che percentuale di questo combustibile deve essere usata per far funzionare il macchinario (perché il Thor si autoalimenta). Cercheremo di scoprirlo.

Vale la pena sottolineare che negli ultimi mesi le notizie riguardanti nuovi modi di produrre energia si sono moltiplicate e tutto grazie al prezzo del petrolio.
Un alto prezzo ci penalizza sicuramente nel presente, ma nello stesso tempo stimola la ricerca e rende vantaggiose altre alternative. C’è chi ha puntato sull’ingegneria genetica per modificare piante ed enzimi, chi invece su nuovi procedimenti di sintesi chimica, chi su nuovi tipi di accumulatori, c’è stata la notizia sul trattamento ad ultrasuoni per produrre materiale fissile, c’è chi studia nuovi materiali fotovoltaici e chi progetta impianti eolici mossi da aquiloni ad alta quota ….
Le industrie petrolifere sembrano puntare sull’etanolo da cellulosa come succedaneo della benzina e sul biofuel da alghe per il gasolio, ma siamo solo all’inizio della corsa, ora arriva Thor e se non altro bisogna fare i complimenti per il nome scelto; se il destino è nel nome sarà un successo.


http://www.cnr.it/cnr/news/CnrNews.html?IDn=1758

mercoledì 9 gennaio 2008

Congratulazioni a McCain

Espongo sul mio blog l’appoggio alla campagna per le presidenziali di Rudolph Giuliani.
Francamente non conosco che superficialmente le differenze fra i vari candidati alla Casa Bianca, che sono sottoposti dai giornalisti alle domande più varie, comunque sempre molto concrete tipo: volete trivellare l’Alaska? Continuerete a sussidiare il grano? La pena di morte aiuta a diminuire i crimini? E così via, cose dell’altro mondo viste da qui dove si discute del nulla e anche se si decide di fare qualcosa qualcuno si oppone e tutto si ferma.

La mia preferenza per Giuliani nasce dal fatto che ha combattuto duramente il crimine sia prima di diventare sindaco di New York, sia durante il suo mandato, quando ha legato il suo nome a quella Tolleranza Zero che auspico (sicuramente invano) anche per l’Italia. Mi viene naturale sostenerlo, con quel cognome italiano, per l’orgoglio di sentirlo un po’ nostro.

Detto questo, la vittoria di McCain in New Hampshire mi ha fatto piacere per tutta una serie di motivi: è l’outsider con pochi fondi a disposizione. Non è un imboscato: ha fatto la guerra in Vietnam e si è fatto pure 5 anni di prigionia in mano ai comunisti nordvietnamiti.
Non ha mai avuto paura di prendere posizioni anche in contrasto con il proprio partito e con le lobby dominanti. Sembra aver avuto una vita ricca di alti e bassi, ma ha trovato il tempo di fare 7 figli.
Le primarie vanno avanti e con gli Stati più grandi diventa difficile fare campagna elettorale senza finanziatori pesanti, per il vecchio John la strada diventerà in salita. Ma non è uno che si scoraggia, era già dato per spacciato ed invece è ancora in pista! Forza John McCain and God Bless USA.

sabato 5 gennaio 2008

I salari scendono, il debito pubblico sale, un paese in declino e le solite bugie.

I salari e gli stipendi sono fermi, quindi erosi di fatto dall’aumento dei prezzi. C’è chi dice che questo calo è andato a vantaggio dei profitti, ma si tratta purtroppo di una mezza verità, buona per fare facile propaganda al sindacalista di turno. La realtà è leggermente diversa, quello che è cresciuto a danno dei salari sono le rendite. Ma non basta, se si va a vedere i profitti delle aziende, si vede che sono cresciuti quelli delle aziende che godono di rendite di posizione, aziende che non sottostanno ad un regime di concorrenza ma possono aumentare a danno dei clienti e dei consumatori le proprie tariffe, a cominciare da quelle municipalizzate che sono gestite dai partiti politici e che servono a comprare voti.

Quello che fa comodo dimenticare è che la rendita più cospicua da attaccare che c’è in Italia è il nostro abnorme debito pubblico. Ogni anno, per pagare gli interessi su questo debito i contribuenti italiani pagano più di 70 miliardi di euro di interessi. Una cifra colossale. Denaro che viene preso dai lavoratori, eppure nessuno sciopero generale è mai stato indetto per chiedere la fine di questa malagestione del denaro pubblico, che rappresenta la penalizzazione più grande per le classi economicamente svantaggiate del nostro paese.

L’altro effetto deleterio del nostro debito pubblico è la grande fetta di risparmio che va ad assorbire.
Metà del nostro debito è in mano estere, il resto è rappresentato dai risparmi degli italiani che hanno investito in Bot, Btp, Cct e negli altri titoli di Stato. Tutta questa massa di denaro viene prestata allo Stato che, come sappiamo, ne fa un pessimo uso e comunque viene utilizzato in gran parte per le spese correnti e non per investimenti strutturali. Invece il risparmio dovrebbe essere il motore dello sviluppo di un sistema sano. Il risparmio dovrebbe trasformarsi in investimento produttivo e generare reddito.

Il lavoro genera ricchezza, è il motore del benessere, lo diceva anche Marx, solo che i comunisti lo hanno dimenticato. In Italia ci sono 13 milioni di lavoratori del settore privato. Con i prelievi dai loro redditi si pagano 16 milioni di pensioni; si pagano inoltre 3 milioni di stipendi dei dipendenti pubblici. Ci stupiamo che i salari sono bassi?
Se sommiamo le entrate delle famiglie italiane ne esce fuori che affitti, interessi e pensioni sono maggiori dei salari!!
Oggi è ricco chi detiene ricchezza finanziaria, titoli in banca o ancora meglio case da affittare, chi lavora non è ricco.
Tutto questo non basta, i partiti dei lavoratori lamentano i bassi salari, però difendono la tassazione progressiva, che è un disincentivo a guadagnare di più! Disincentivo per chi percepisce lo stipendio e per chi lo paga.

Intanto quest’anno, come ogni anno negli ultimi decenni, lo Stato spende più di quello incassa. Quello che manca? Semplice, come sempre lo chiede a prestito, emette un Titolo di Stato e qualcuno gli darà i propri soldi per tappare il buco. E il debito aumenta. E gli interessi da pagare pure.
Però avremo rispettato il limite imposto dall’Europa: il 3% del PIL. Peccato che per una situazione come la nostra il 3% è un deficit enorme. Infatti sarebbe sostenibile (cioè neutrale) solo se l’economia crescesse a sua volta del 3% (anzi a voler essere pignoli quella crescita dovrebbe essere reale cioè al netto dell’inflazione, quindi con l’inflazione al 2,6%, la crescita nominale del PIL dovrebbe essere del 5,6%).
Ma non si parla di questo, perché la gente odia le cattive notizie, preferisce illudersi ed allora i giornali ed i politici la accontentano alla grande, infatti per mesi si è parlato di tesoretto!
Purtroppo non c’era nessun tesoro, a meno che non consideriate tesoro questa situazione: pensavamo di perdere 40 miliardi di euro, invece ne abbiamo perso solo 30. Ecco quel 10 di differenza lo hanno chiamato tesoretto, e se lo sono speso, tanto per comprare un po’ di consenso, visto che scarseggia.

Quindi, oltre il danno la beffa.

Ma le prese in giro non finiscono mai, ogni stagione ha la sua; ieri il tesoretto, oggi abbiamo la polemica sul sorpasso spagnolo. C’è chi dice ci hanno sorpassato, c’è chi dice non è vero.
La situazione è questa: immaginatevi una gara di corsa. Noi avevamo dei kilometri di vantaggio. Adesso siamo praticamente alla pari, solo che loro stanno viaggiando su una Ferrari, noi con un carretto trainato da un mulo. Vi sembra furbo discutere se ci hanno già sorpassato o no?
Ma loro hanno Zapatero. L’ultimo messia, l’idolo dei comici, cantanti, presentatori, attori che ci spiegano sempre come votare. Solo che si dimenticano sempre di dire che Zapatero non ha modificato nulla delle riforme liberiste di Aznar. Come Blair non modificò quelle della Thatcher.
Ai comici, cantanti, presentatori, attori, che invece di fare il loro mestiere ci spiegano sempre come votare, interessa solo il matrimonio gay, sul resto censura.
Ma poi, perché tante discussioni sul sorpasso? Ci ha sorpassato anche l’Irlanda (governata dal Fianna Fail) e nessuno ha detto niente. I casi sono due: o è passata troppo veloce e non c’è stato il tempo, oppure diamo per scontato che i paesi nordici siano superiori e quindi non ce la prendiamo.
Attendiamo il sorpasso dell’Estonia e vedremo.
Intanto il debito aumenta e i salari scendono.
E io pago.

martedì 1 gennaio 2008

60 anni della Costituzione italiana

Il 1° gennaio 1948 entrava in vigore la nostra Costituzione. L’Italia di allora era un paese ancora prevalentemente agricolo, uscito da una guerra traumatica, soprattutto perché ha visto crollare le proprie certezze, le proprie istituzioni, un’Italia sconfitta, amputata territorialmente e, cosa più gravida di conseguenze, divisa da una guerra civile, specchio di un mondo diviso.
Questa è la composizione dei seggi dell’assemblea costituente: Democrazia Cristiana 207, Partito Socialista 115, Partito Comunista 104, Partito Liberale 41, Uomo Qualunque 30, Partito Repubblicano 23, Blocco Nazionale 16, Partito d’Azione 7.

Le divisioni ideologiche dei costituenti non possono non dare vita ad un testo che è tutto un compromesso, pieno di dichiarazioni vaghe, che si prestano ad interpretazioni molto distanti tra loro. Un testo molto lungo che intende regolare tutto il possibile ma con molti articoli che restano inapplicati ed un equivoco di fondo mai risolto.
L’equivoco è la debolezza istituzionale che la Costituzione sancisce, l’immobilismo del nostro paese, la sua incapacità di decidere trae origine dalla scelta dei costituenti di avere dei governi deboli e dei poteri in grado di paralizzarsi a vicenda. Questo assetto nasce dalla paura, spesso sottolineata, di un ritorno a forme di regime come quello fascista appena abbattuto. Ma non è solo questo: la paura principale è di mettere troppo potere nelle mani degli avversari politici, le sinistre non vogliono dare ai democristiani la possibilità di governare e viceversa. La prevalenza assoluta del Parlamento sul Governo è il seme della partitocrazia. I partiti politici diventano i veri dominus della Repubblica, gli aspetti formali della Costituzione mascherano una realtà, forse non prevista, ma che si manifesta precocemente: le decisioni avvengono all’interno delle segreterie partitiche; i dibattiti reali, le trattative e i mercanteggiamenti non avvengono nelle sedi istituzionali, ma tra quei soggetti forti in grado di dialogare o imporre le proprie decisioni ai vertici dei partiti o a correnti degli stessi.

C’è un altro elemento decisivo che muta i partiti, dalla loro funzione di mediatori del consenso sociale, in concessionari del potere. Questo elemento è lo statalismo che la Costituzione promuove senza indugi.
Le culture prevalenti nell’assemblea costituente non hanno alcuna fiducia nella libertà individuale, né nel mercato, né nell’iniziativa privata, considerano il cittadino un elemento da tenere sotto tutela, da indirizzare, da educare. Ritengono che lo Stato sia in grado di fare tutto e di fare meglio.
Danno vita dunque a questo paradosso: rifiutano l’autoritarismo fascista; disciplina, doveri e responsabilità (e anche Patria) sono parole bandite dal nuovo lessico politico; ma nello stesso tempo non adottano una filosofia liberale, che metta al centro la libera scelta individuale. Adottano una terza via: la spartizione del potere, della ricchezza ed in definitiva del potere, usando il denaro pubblico per comprare il consenso ed accontentare le clientele.
Uno Stato autorevole e forte è lo Stato che adempie con efficacia ai propri compiti, pochi o tanti che siano. Lo Stato italiano nasce debole e diventa nel tempo un pachiderma che occupa ogni spazio, portando con sé, ovunque mette piede, i veri centri del potere costituito: i partiti.
L’unico accorgimento che avrebbe limitato questa degenerazione poteva essere di mettere delle norme costituzionali per obbligare i partiti ad avere una democrazia interna. Ma non fu fatto e del resto anche la norma analoga che riguarda i sindacati è rimasta lettera morta.

C’è anche un motivo esogeno che ha impedito all’assetto istituzionale di funzionare, l’Italia era un paese a sovranità limitata, come nei secoli passati terreno di scontro di altre potenze. Una delle grandi forze politiche esistenti, cioè il PCI, non poteva governare, né imporre i propri progetti, perché l’Italia era assegnata all’altro campo. L’altra grossa forza, la DC, era destinata a governare sempre e comunque. Questo blocco del sistema ha reso inevitabile il malfunzionamento della democrazia e l’approdo ad una spartizione, piuttosto che ad un’alternanza.
La fine della Guerra Fredda ci ha lasciato soli con i nostri problemi. Non siamo nemmeno più terreno di scontro, perché siamo un paese ai margini della nuova geografia delle potenze odierne.
Nonostante ciò e nonostante i tentativi di modifica fatti, la Costituzione è sempre quella. Il motivo principale è che anche le riforme costituzionali sono diventate parte della propaganda, bandiere da sventolare, slogan che vengono bene per la retorica, ma nel concreto non sono coerentemente portate avanti con convinzione.
Il Centrosinistra ha modificato in modo disastroso il Titolo V solo per cercare di prendere qualche voto al nord. Il Centrodestra ha messo in campo quelle riforme che, nella sostanza se non nella forma, avrebbero consentito di fare un passo avanti. Però i leader hanno dato l’impressione di subire il percorso di riforma come un compito fastidioso da espletare, piuttosto che una necessità per il paese. La riforma non è stata adeguatamente spiegata e difesa e non ha retto l’esame del referendum.

D’altro canto anche la difesa dell’attuale Costituzione viene fatta in modo del tutto acritico. Durante la campagna per il referendum se ne sbandierava la sacralità, come se fossero messi in discussione i principi di democrazia e libertà. Chi ieri gridava all’attentato ai diritti costituzionali, oggi propone le stesse modifiche che ha condannato e che ha contribuito a far bocciare.

Non c’è una panacea per i mali dell’Italia, ci sono tanti tasselli da mettere a posto. Uno di questi è la Costituzione.
Possibilmente prima dei prossimi 60 anni.