sabato 27 ottobre 2007

I nostri cugini Neanderthal

Da qualche anno l’analisi del DNA viene compiuta, quando possibile, anche su reperti fossili e questo ha aiutato molto le ricerche sul complicato cammino che ha portato alla comparsa della nostra specie.
L’ultima notizia riguarda la scoperta di un gene, proveniente dal DNA di un uomo di Neanderthal, che indica come il colorito dei capelli di quell’individuo fosse rossiccio. Lo scarso irraggiamento solare delle latitudini europee avrebbe reso questo tipo di mutazione un vantaggio evolutivo, esattamente come per i nostri antenatii. Il tipo particolare di mutazione riscontrato nei Neanderthal è però di tipo diverso e non riscontrato negli uomini moderni. Questo fatto si aggiunge quindi a tutta una serie di indizi che, negli ultimi anni, hanno portato ad escludere una discendenza diretta di uomini moderni dai Neanderthal.
Sostanzialmente appare confermata l’ipotesi che l’Homo Erectus uscì dall’Africa in epoca remota, probabilmente più di un milione anni fa, i suoi discendenti sparsi per il mondo (ma non in America, dove non ci sono reperti così antichi) hanno dato origine a varie “culture”, ma tutte sembrano essersi estinte. Gli Erectus giunti in Europa hanno dato appunto origine ai Neanderthal che sono sopravvissuti fino a circa 25.000 anni fa. Questo significa che hanno avuto il tempo di incontrare i nostri progenitori (Homo Sapiens Sapiens) giunti in Europa 50.000 anni fa. L’Homo Sapiens Sapiens, che appare in tutto simile a noi, discende da alcuni Erectus rimasti in Africa ed esciti dal continente africano meno di 100.000 anni fa. Non sappiamo se questo incontro tra lontani cugini sia stato pacifico o meno, sappiamo che il Sapiens Sapiens produce manufatti che sembrano più avanzati, in ogni caso i Neanderthal sono comunque assai simili ai nostri antenati: usano il fuoco, costruiscono attrezzi, seppelliscono i morti, non sono “umani” dal punto di vista genetico, ma lo sono dal punto di vista del comportamento.
Anche se gli indizi sono contrari non possiamo escludere con certezza che le due specie, anche se differenti, non potessero dare vita ad “incroci”. A complicare il quadro c’è infatti lo scheletro rinvenuto nel 1999 nella zona di Leiria, in Portogallo. Questo scheletro, di un bambino dell’apparente età di 4 anni, mostra caratteristiche ibride. E’ anche possibile del resto, come avviene in altri casi, che le due specie fossero in grado di procreare, ma dando alla luce individui sterili.

giovedì 25 ottobre 2007

Le bugie sulle pensioni

L’informazione è caratterizzata da tormentoni che ciclicamente ci assillano.
Sulle pensioni ci sono due affermazioni che vanno attualmente per la maggiore e che mirano a tranquillizzare i giovani circa il loro futuro. La prima è che con il nuovo accordo sul welfare ai giovani è garantita una pensione pari almeno al 60% del loro stipendio, l’altra è che le pensioni future saranno calcolate sulla base dei contributi versati e quindi un aumento dei contributi è una misura che favorisce i giovani.
Purtroppo si tratta di una presa in giro: stabilire il metodo di calcolo della pensione non garantisce nulla!
Puoi calcolare la pensione come vuoi, ma se non ci saranno i fondi per erogarla, le regole del calcolo verranno inevitabilmente cambiate, come è già successo in passato.
Un tempo l’importo veniva calcolato sulla base della retribuzione ricevuta negli ultimi anni lavorativi, poi il sistema non lo consentiva più e la regola è stata cambiata. Il sistema oggi funziona ancora in questo modo: i contributi versati da coloro che lavorano vengono usati per pagare coloro che sono in pensione. Quindi quando si dice che in Italia è stato introdotto il metodo contributivo si sta parlando solo del metodo di calcolo della pensione. Il sistema contributivo propriamente detto dovrebbe infatti funzionare così: chi lavora mette da parte anno per anno i propri contributi e poi li usa per pagarsi la pensione.
Oggi chi è in pensione si sente dire che è mantenuto dai giovani e giustamente si arrabbia e ribatte: ma io i miei contributi li ho versati! E magari per 40 anni. Però quei soldi sono già stati spesi, usati, dati a qualcun altro. La cosa grave è che, tra l’altro, sono serviti a pagare pensioni di invalidità a falsi invalidi, pensioni agricole a chi non ha mai visto un campo e così via.
C’è poi il capitolo delle pensioni baby: tutti a buttare la croce addosso a questi pensionati quarantenni, ma i pensionati baby non hanno truffato nessuno, la legge gli consentiva di andare in pensione e loro ci sono andati. Lo scandalo è la legge, scandaloso è chi l’ha fatta, scandaloso è che i sindacati non si siano opposti con tutte le loro forze. Sempre pronti alla protesta, quando si è trattato di tutelare e difendere i contributi dei lavoratori hanno preferito sorvolare comodamente sulla questione, tanto qualcuno ci avrebbe pensato in futuro, ecco ci stiamo pensando noi, oggi.

domenica 21 ottobre 2007

Post-italiani

“Post-italiani” di Edmondo Berselli vuole essere un’analisi a tutto campo sul mondo politico e sulla società italiana contemporanea.
Ironia e sarcasmo alleggeriscono ovunque l’amarezza dell’analisi ed il tono complessivo è leggero, il libro risulta di piacevole lettura, con alcuni passaggi, quello sul cinema italiano su tutti, davvero divertenti.
L’autore cerca di non fare sconti a nessuno e picchia duro sia a destra che a sinistra.
I problemi del paese ed i difetti dei suoi abitanti sono elencati impietosamente, però l’impressione generale alla fine della lettura è quella di aver affrontato solo il mezzo vuoto del bicchiere. L’Italia descritta da Berselli è quella che leggi sui quotidiani, è quella che vedi in televisione, un’Italia che assomiglia molto ad un circo di freak; nella realtà, per ora, esiste anche il paese delle persone comuni, delle persone positive, certamente mille motivi, o alibi, tengono queste persone lontane dalla vita pubblica, magari la pensano tutti allo stesso modo ma non credono possibile mettersi assieme per ottenere qualcosa. Mi viene in mente quello che mi diceva tempo fa un caro amico che ha lavorato e vissuto molto tempo all’estero, ultimamente in Germania: “qui, presi singolarmente, non trovi persone più capaci di quelle che trovi nelle aziende italiane, anzi spesso in Italia trovi persone più preparate, che lavorano di più, in grado di svolgere molti compiti… ma qui in Germania fanno sistema, fanno gruppo… e le cose funzionano, tornando in Italia il paragone è sconfortante…”
Tornando al libro anche Berselli, come tutti i commentatori colti, descrivendo il popolo di centrodestra non riesce a sfuggire alla tentazione di fare lo snob ed appiccicare tutte le etichette trite e ritrite già sentite in questi anni: evasori, ignoranti, teleipnotizzati, egoisti, poi il solito sondaggio per cui l’elettore più scolarizzato vota a sinistra (che cosa vuol dimostrare? Fatemi fare il cinico: lo dico da anni che scuola e università italiane sono le peggiori d’Europa, qui anch’io dovrei abbinare il solito sondaggio che dimostra come gli studenti italiani sono asini in matematica…).
Il centrodestra com’è oggi non è il massimo, no sicuramente, e Berlusconi sarà anche un nano, ma i voti li prende, ha vinto due elezioni e ne ha perse altrettante, quindi gli elettori scelgono, giudicano e votano. Ovvio, votano tra le scelte che hanno a disposizione.

giovedì 11 ottobre 2007

Adriano di Mario Attilio Levi

Questo libro di Mario Attilio Levi più che essere una biografia è un’analisi degli aspetti della politica e del contesto in cui l’imperatore Adriano ha operato.
L’autore rifiuta l’immagine classica dell’imperatore che guarda con un occhio di riguardo al mondo ellenico, anzi ne sottolinea la volontà di recuperare alcune peculiarità del mondo romano e, più in generale, occidentale. L’epoca di Adriano sancisce definitivamente però la riduzione dell’Italia a rango di provincia ormai uguale alle altre, anche se è ancora sede del Senato e dell’imperatore.
L’impero ha già la sua fisionomia compiuta da un punto di vista territoriale, da un punto di vista linguistico si è determinata quella divisione a metà tra sfera latina e greca che, alla fine del secolo successivo, segnerà il confine tra parte occidentale e parte orientale.

All’inizio del libro c’è un breve riassunto delle vicende sociali dei secoli precedenti, in questa parte è interessante la tesi secondo cui la divisione tra patrizi e plebei deriverebbe dal fatto che i plebei vivevano nel nucleo cittadino di Roma, mentre i patrizi vivano nelle campagne circostanti. In origine quindi sarebbe stata una distinzione tra mercanti di varia provenienza e possidenti terrieri autoctoni. Questa distinzione è così tenace e profonda da resistere per tutta l’epoca repubblicana, anche quando si è persa memoria di come è nata e ha dato quindi materiale agli studiosi per formulare le ipotesi più varie.
Un altro passaggio da segnalare è quello relativo al malcontento degli italici per le alte imposte pagate che andavano a favore dei residenti dell’Urbe, scontato ma inevitabile il riferimento ai ricorsi storici….

mercoledì 10 ottobre 2007

Underworld

Piccola divagazione cinematografica.
Film: Underworld.
La storia, pur utilizzando le figure strausate dei vampiri e dei licantropi, riesce ad essere originale. Anche il ritmo è buono, su tutti giganteggia la vampira Selene, interpretata da Kate Beckinsale sensuale come non mai. L’unica cosa che non si riesce a comprendere è come mai gli autori abbiano bistrattato così tanto il protagonista, un ignaro ibrido delle due razze, discendente del progenitore di entrambe.
Mentre i vampiri sono tutti affascinanti, con un look curatissimo ed i licantropi quando si trasformano diventano delle specie di muscolosissimi pastori del Caucaso, il protagonista quando si trasforma sembra un ramarro, diciamo che non ci si sono applicati molto.
Come personalità poi è del tutto apatico, cioè scopre di avere dei superpoteri incredibili, subisce trasformazioni terrorizzanti e ha un flirt con una bellissima vampira, nonostante tutto ha sempre un’aria da ebete vagamente annoiato.
In pratica è l’unico film che potrebbe stare tranquillamente in piedi anche senza il protagonista.

domenica 7 ottobre 2007

Ancora libri

un altro piccolo elenco con la mia personale valutazione:

Jack Lindasay - I Normanni **
Robert Graves - I miti greci ***
Paul Faure - Alessandro Magno ***
Fritz Shachermeyer - Pericle **
David Fraser - Rommel ****
Albert Soboul - Storia della Rivoluzione Francese ***
Giuseppe Antonelli - Scipione l'Africano ***
Andrew Robert Burn - Storia dell'antica Grecia ***
John Julius Norwich - Bisanzio ****
Arrigo Petacco - La nostra guerra 1940-1945 ***
Gianpiero Carocci - Storia della Guerra Civile Americana **
Ludovico Gatto - Il Federalismo **
Massimo Teodori - Il sistema politico americano **
Napoleone Colajanni - La Cina contemporanea **
Alfonso di Nola - Maometto ***
Henri Favre - Gli Inca **
Jacques Soustelle - Gli Aztechi **
Sergio Romano - Storia dell'Italia dal Risorgimento ai nostri giorni ***

lunedì 1 ottobre 2007

Guerra e pace

In politica estera dovrebbero valere i principi o le convenienze?
E’ una questione vecchia come il mondo ma che le democrazie non solo non riescono a risolvere ma preferiscono non affrontare del tutto.
Le Costituzioni di tutti i paesi democratici sono ricche di enunciazioni sui valori che stanno alla base dello Stato, valori che si rifanno alla libertà individuale, all’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed alle varie forme di governo, che traggono legittimazione dal fatto di essere espressione di un voto popolare.
Questi principi valgono solo per noi o valgono per tutti?
A parole sono universali, nei fatti però non sembra proprio.
Oggi è la Birmania ad inscenare la tragedia di un popolo condannato al silenzio, ed alla miseria, da una dittatura spietata; ma si può continuare a lungo, con molti esempi, fino ad arrivare a veri e propri genocidi come quello del Darfur in Sudan.
Non si può fare la guerra al mondo, l’Italia in ogni caso non ne avrebbe le risorse, ma l’impressione è che rispetto ad un basso profilo, che sa tanto di ambiguo, qualcosa di più si potrebbe fare.

Nel nostro paese il problema di porsi di fronte a queste tragedie si intreccia con il problema di porsi di fronte all’uso della forza. Perché nel momento in cui si decide che qualcosa bisogna fare, spesso quel qualcosa è la guerra. Ma la parola guerra è diventata un tabù, e quindi le frasi di comodo di sprecano: i nostri soldati fanno solo missioni di pace, non esistono guerre giuste, c’è l’articolo della Costituzione e via dicendo.
La guerra è qualcosa che deve fare orrore, ma se si decide che in Afghanistan non ci devono essere campi di addestramento per terroristi, la guerra bisogna farla. Ci sono tanti modi per farla, si possono valutare i modi per avere il consenso, o almeno la neutralità della popolazione, ma pur sempre guerra rimane.

Mentre in Italia, ma possiamo dire in Europa, in generale c’è una rimozione collettiva della guerra, negli USA l’uso della forza è contemplato tra le opzioni possibili.
Forse perché la guerra più sanguinosa combattuta dagli americani, cioè la Guerra di Secessione, è ormai lontana nel tempo, forse perché c’è un diverso rapporto con le armi, o per altre ragioni culturali, ma nell’iconografia americana la funzione militare resta legata a quella di patriottismo e di dovere, pur con tutte le autocritiche tipiche di una società abituata a mettersi in discussione senza censure.

Oggi l’interventismo è legato al Partito Repubblicano ma è una posizione recente, tradizionalmente l’interventismo americano è di sinistra: i due presidenti delle guerre mondiali Woodrow Wilson e Franklin Roosvelt erano democratici e tipicamente legata al Partito Democratico era l’idea che gli Stati Uniti dovessero intervenire per difendere e promuovere la democrazia. Idea questa riproposta in tempi recenti da Clinton e dai suoi epigoni dell’”Ulivo mondiale”.
La posizione della destra americana era invece legata al cosiddetto isolazionismo: gli USA non dovevano immischiarsi nei conflitti altrui, tra l’altro anche per non importare in casa scontri tra immigrati di provenienze diverse, l’idea è che dovevano al più tutelare i propri interessi commerciali, soprattutto nel continente americano.
C’è quindi alla base una sostanziale divisione tra idealismo e realismo.
L’inversione di tendenza avviene durante il conflitto in Vietnam, nascono i movimenti pacifisti ed il Partito Democratico ne viene influenzato o certa comunque di cavalcarli; all’opposto l’intransigente anticomunismo dei Repubblicani sfocia in un abbandono definitivo del vecchio isolazionismo.

Oggi si usa il termine neoconservatore come sinonimo di ultraconservatore ma in realtà i neocon propriamente detti hanno una posizione analoga al vecchio interventismo del Partito Democratico, da cui infatti alcuni provengono. L’idea di esportare la democrazia è qualcosa che somiglia molto all’arsenale delle democrazie di roosveltiana memoria.
L’11 settembre ha reso terribilmente attuale e urgente una sistemazione che renda il Medioriente meno minaccioso, di conseguenza l’idea di creare democrazie dove c’erano dittature è sembrata una soluzione definitiva praticabile.
Credo sia necessaria una nuova sintesi tra idealismo e realismo nelle politiche estere occidentali.
L’iper pragmatismo della Guerra Fredda, quando si sosteneva qualunque regime impresentabile purchè alleato, è un modello che non deve tornare in auge. Nello stesso tempo però, prima di voler imporre il metodo parlamentare a caro prezzo anche a chi non lo desidera, è giusto valutare se ci sono scorciatoie possibili.

In ogni caso la nostra sicurezza va difesa senza indulgenze; dove è presente una minaccia, dove si preparano azioni ostili nei nostri confronti, dove si proteggono o foraggiano i terroristi, abbiamo il diritto di intervenire con le armi. Non si tratta di usare il processo alle intenzioni come alibi per qualunque azione bellica, ma semplicemente con i nemici di oggi non si può aspettare che sparino per primi per reagire, né si può contare sulla loro benevolenza.
La carota funziona solo quando il bastone è credibile.